È difficile raccontare l’Italia di oggigiorno. Un tempo c’erano i partiti politici, quelli veri, rubavano di meno e si vergognavano di più. C’erano i giornalisti, quelli seri, meno eleganti e più onesti. C’erano i sindacati, quelli puri, meno ricchi e più solidali. C’erano gli operai, quelli che si svegliavano alle sei, meno poveri e più occupati. C’erano gli industriali, quelli che creavano ricchezza reale, dormivano di più in fabbrica e giocavano di meno in borsa. C’erano gli intellettuali, quelli con il maglione di lana, più casalinghi e meno presenti in tv. C’erano gli opinionisti, quelli con il papillon, azzeccavano di meno e influenzavano di più. C’erano le femministe, quelle dure, parlavano di meno e lottavano di più. C’erano i cantautori, quelli mezzo poeti e mezzo visionari, più umani e meno divi. C’erano i santi, quelli che nessuno ha mai visto, meno casti e più amati. C’erano i preti poveri, quelli che mangiavano per ultimi, più liberi e meno stanchi. C’erano gli insegnanti, quelli che sapevano di sudore, meno pagati e più convinti. C’erano le famiglie più numerose e con una automobile sola. C’erano gli immigrati con il sogno negli occhi. C’erano i campioni del pallone, quelli che non cambiavano mai maglia, più educati e meno dopati. C’erano gli scrittori, quelli timidi, c’erano i filosofi, c’era la folla silenziosa ai funerali. C’era una volta un Paese, in continuo e lento movimento, meno moderno e più allegro, con il mito degli americani e il pallino dei francesi. Chissà se questo Paese c’è mai stato.