Ho una brutta abitudine: non mi faccio mai gli affari miei e mi arrabbio se qualcuno si impiccia delle mie cose. Ogni sforzo è inutile, il disinteresse dura un attimo. L’unico rimedio è farlo con discrezione. E’ stato così che ho incontrato Mustafa, un ragazzino marocchino dall’età incerta e dal comportamento disinvolto. Di giorno lavora vendendo accendini e penne e ogni tanto distribuisce, dietro un compenso discreto, i flier dei nuovi locali per giovani. Guai a chiamarlo vucumprà, potrebbe offendersi di brutto. E non ha tutti i torti, lui non va in giro a vendere la sua umile merce, ma sta seduto comodo nella sala del bar della signora Monica, al riparo dal freddo nebbioso e dal caldo appiccicoso di Torino e a due passi dall’università. “E’ qui da sette anni. Il primo giorno che è arrivato era accompagnato da un suo presunto parente. Io e mio marito ci siamo affezionati subito a quella piccola creatura. Abbiamo deciso di aiutarlo pagandogli gli studi serali, adesso fa le medie. E’ bravo, sai? I numeri sono la sua forza e il prof di matematica ne è entusiasta, speriamo!”. Monica ha un cuore d’oro e per la paura di perdere il suo unico figlio clandestino in tutti questi anni non ha mai osato chiedergli dove dorme la notte e che ne è dei guadagni, non vuole insospettire più di tanto il presunto Zio. Ho una brutta abitudine: non mi ribello mai alla mia curiosità, la seguo come un ostaggio. E così mi sono trovato seduto a tu per tu con Mustafa. “Vuole un accendino? Una penna?”. “Prendo tutte e due, grazie, ma vorrei un accendino di un altro colore, rosa no, ti prego!”. “Mica sei maschilista?”. Non c’è che dire, Mustafa sa fare bene il suo mestiere e ha conquistato tutti gli studenti universitari, nessuno ordina niente al banco prima di aver salutato Mustafa o avergli comprato qualcosa, specialmente le ragazze. Ho una brutta abitudine: sono invidioso e faccio di tutto per rovinare i concorrenti. E così, quando ho scoperto che Mustafa, per aumentare il suo giro d’affari, regala alle ragazze un bel foglio con il loro nome scritto e tradotto in arabo, ho voluto vederci chiaro. Lui scriveva e io spiavo a debita distanza la sua ortografia. Mustafa non è per niente stupido, si è accorto della mia ingombrante presenza e ha provato a regalarmi una penna speciale. Ho Rifiutato per principio e gli ho chiesto il perché di quello strano giro di foglietti. “Mi piace vedere la gente felice; io regalo loro il nome scritto in arabo e loro comprano più contenti. Non importa a nessuno se il nome è corretto o no. Adesso ti saluto, tra mezz’ora ho una lezione di italiano, Salamalikum”. Ho una brutta abitudine: sono come i cani e mi affeziono presto a certe persone. E voi che siete così sensibili, mi raccomando, se un giorno una di voi si accorge che il suo nome trascritto in arabo è sbagliato, non pensi di essere stata truffata da Mustafa, ma piuttosto pensi all’amore immenso di Monica.