L’immigrato vive, suo malgrado, in un continuo imbarazzo tra le nuove abitudini, le insidie della lingua e i luoghi comuni. La sua giornata si divide in tre parti: superamento degli ostacoli, adattamento all’ambiente e tentativo di chiudere gli occhi davanti ad alcuni personaggi o alla lettura di notizie di cronaca.
La maggioranza di noi immigrati arriva in Italia in perfetta solitudine. Dopo aver attraversato la frontiera, i compagni di viaggio scelti per l’occasione prendono strade diverse. Tuttavia, nell’immaginario collettivo siamo sempre associati a un gruppo etnico o religioso. Soprattutto quando le circostanze sono sfavorevoli. Così finiamo per sentirci coinvolti emotivamente in un fatto di cronaca che ha scosso il quartiere dove viviamo.
Impieghiamo molto tempo per conquistare la fiducia degli italiani e vivere con distacco la vita precedente, ma basta poco o niente per ritrovarsi nell’occhio del ciclone dei mezzi d’informazione: basta la notizia di uno stupro compiuto da un ex compaesano, l’arresto di uno spacciatore senza scrupoli e, per di più, sprovvisto di permesso di soggiorno, un furto finito male ai danni di un’anziana o la visita dell’ultimo “califfo”, travestito da colonnello, con tanto di tendone da circo.
Tra smentite e imbarazzi, siamo costretti a ricominciare a tranquillizzare gli italiani: “È solo un caso isolato”, “un personaggio disegnato male”, e “il suo pensiero maomettano non ci appartiene”. Ma ormai qualcosa si è incrinato. Gli avvoltoi della politica – gli stessi che hanno creato il colonnello con gli occhiali e i baffi – non perdonano e, in vista di future elezioni, ci fanno passare tutti per invasori musulmani. Barbari.