Ho saputo per caso che i miei ragazzi si stavano organizzando per portare la loro nonna in classe. Sapevo che erano molto eccitati dal suo arrivo, ma potevano almeno avvisarmi! Di colpo mi sono ricordato del caso di Fatima, una signora marocchina che vive qui a Ivrea da anni e che stava studiando per diventare educatrice di prima infanzia. All’avvio del tirocinio uno dei tanti asili privati le propone in via cautelativa di togliere il velo per evitare eventuali criticità con bambini e genitori. Fatima non aveva perso tempo e si era rivolta alla stampa locale fino a guadagnare la prima pagina dei giornali nazionali. Quando l’insegnate mi aveva svelato il piano dei ragazzi ho avuto un forte dubbio: sapranno che la nonna porta il velo? Io di certo non glielo faccio togliere! Mi avrebbe odiato, come feci con mio cugino italianizzato che mi accolse dicendomi “Non possiamo più camminare mano nella mano altrimenti la gente ci guarda male e pensa che siamo diversi”. Con il tempo pensavo di aver dimenticato le nostre tradizioni, ma la riscoperta è stata involontaria e piacevole: con la nascita dei ragazzi, finalmente, potevo comportarmi da arabo almeno in famiglia! Ma purtroppo i ragazzi, si sa, si guardano attorno, frequentano coetanei italiani doc e costruiscono i loro mondi. Accompagnarli a scuola tutte le mattine dà soddisfazione e, prima di correre in classe con i loro zaini, a me rigorosamente vietati, ci davamo quel piccolo bacio sfiorato con delicatezza sulle labbra. All’inizio per loro era solamente il bacio di un padre affranto per non poterli rivedere fino a sera. Poi, crescendo, e non sapendo come farmelo capire senza offendermi, mi chiedevano gentilmente di stare in macchina inventando scuse. Giusto così. Finalmente era arrivata, contenti e felici di vedere dal vivo la nonna palestinese dopo aver sentito dire per anni che era robusta e un po’ invadente. E subito, come tutte le mamme arabe, la mia ha occupato la cucina e ci preparava ogni ben di Dio, felice di vedere l’acqua scorrere dai rubinetti tutti i giorni. Con la scusa delle zanzare l’avevamo convinta a restare in casa nelle ore più calde, chissà cosa avrebbero pensato i vicini vedendola in giardino chiacchierare con il suo amato narghilè e con addosso l’inseparabile velo. Curiosa iniziava a chiedere informazioni sugli altri. Dispiacere e stupore si sono stampati sul suo viso quando ha saputo che ignoravamo perfino i cognomi degli abitanti delle casette dalla seconda fila in poi. Ma non si rassegnava. Ogni volta che preparava un piatto speciale portava assaggi, anche di nascosto, a tutto il vicinato nonostante la mia disapprovazione. Me lo confessò il giorno della sua partenza, chiedendomi anche con una punta di veleno come posso resistere in questo paradiso invaso dai moscerini e pieno di estranei. Muto, non sapevo come dirle che i suoi nipoti non vogliono più nemmeno essere baciati sulla bocca dal papà. Certe cose è meglio non fargliele sapere. A tutt’oggi i nostri vicini, anche quelli della quinta fila, chiedono di lei; ogni tanto ci portano qualche frutto dei loro orti e qualche chiacchiera sul tempo, ignari che la mamma ha già deciso, non tornerà mai più. Per ritornare a Fatima, il nostro Sindaco ha provveduto a farle svolgere lo stage all’asilo comunale.