Qualcuno ci vede come una risorsa, altri come materia prima e altri ancora come scarti da rispedire al mittente. Angey non sa o non vuole sapere, è arrivata qui inseguendo un sogno e di certi discorsi non se ne intende. È nata in Africa e ha imparato solo a correre, da bambina lo faceva per necessità e divertimento, poi è arrivata la guerra e si è trovata a correre per il mondo. L’Italia potrebbe essere un’ottima occasione per riposarsi, rifarsi una vita e, perché no, anche cantare come faceva da piccola. A volte, però, non basta essere degli atleti per sfuggire alla legge degli uomini.
Angey è una splendida ragazza di color nero fiero e un po’ ribelle, treccine lunghe e un sorriso ampio e dolce. Non è difficile trovarla, esercita sempre all’incrocio fra San Giorgio e San Martino, dietro la curva a U, dopo la micidiale salita di due km per chi arriva da San Giusto. È un punto strategico e ora quasi d‘autore per i molti trepidanti che nel fine settimana vengono a visitare i luoghi dove si gira “Elisa di Rivombrosa”. In realtà c’è un’altra strada più breve e meno pericolosa, ma vai a sapere come ragionano i forestieri, tutti transitano di lì, lo stesso posto dove Marina ha lavorato per più di trentacinque anni e poi è sparita senza preavviso. I suoi vecchi e affezionati clienti hanno dovuto andare più in là, verso la collina di Santo Stefano, dove possono trovare accoglienza da Franca che non ha niente in comune con Marina, ma qualcuno giura che anche lei abbia un tocco magico e una comoda Station Wagon. Nino non è mai stato forte in bici, è sempre dietro di me a risucchiare le ruote, si può perfino sentire il suo fiatone, ma su quella salita prima della curva sfrecciava come i grandi e romantici campioni del passato, senza nemmeno alzarsi sui pedali. Inutile cercare di prenderlo, mi accontentavo del secondo posto. Angey, per richiamare l’attenzione dei potenziali clienti, esibiva ballando la sua generosa quinta, senza pregiudizio alcuno, come le vere missionarie; nelle giornate afose si poteva sentire in lontananza il suo ritmico canto africano. Nino è un bravo ragazzo, ma, curioso come è, a volte attaccava briga. Con noi parlava volentieri e ci mandava via di brutto appena sentiva una macchina arrivare impaziente dalla discesa. Sognava di andare a Roma, non era chiaro se per visitare San Pietro o tentare la fortuna nel mondo dello spettacolo, forse entrambi, poco importa. In tutte queste nostre parole di sfuggita non ho mai avuto il coraggio di incrociare il suo sguardo, avevo una paura tremenda di vedere nei suoi grandi occhi neri un sogno a me famigliare. Nino giura che è una splendida creatura, ha solo sbagliato i tempi, doveva nascere fra cent’anni. Sono più di tre settimane che la curva di Angey è deserta e la salita sembra più ripida e noiosa. Nino è ritornato a pedalare a fatica e con poco entusiasmo, gli automobilisti ora vanno adagio e senza musica e pure io sto in silenzio. Si capisce, la partenza di Angey ci ha lasciati tutti, angeli e demoni, senza fiato.