Cosa spinge una persona normale e spesso brillante, destinata ad una vita scorrevole e piena di comodità ad abbandonare la sua bella casa, i suoi cari e a rischiare la vita gironzolando per quel mondo dimenticato dalla grazia e dagli uomini? Non ho mai trovato una risposta che soddisfacesse le mie perplessità. Qualcuno era ancora giovane, altri di mezza età, arrivavano a Nablus con la loro aria un po’ spaesata, quasi impaurita e noi, ancora ragazzini, giravamo loro attorno o li seguivamo come una fila indiana indisciplinata. Il loro accompagnatore locale cercava in tutti i modi di mandarci via, inizialmente in modo gentile: “Ragazzi, non facciamo una brutta figura, questa gente è qui per aiutarci, lasciateli in pace, per favore… “. Non eravamo sordi, ma nessuno voleva andare così, a mani vuote. Prima, però, che l’accompagnatore perdesse la pazienza, lo straniero ci chiedeva di metterci in posa per una foto ricordo. Ecco, quella foto per noi rappresentava una sorta di salvezza, eravamo convinti che aldilà del nostro mondo qualcuno avrebbe visto le nostre facce consumate come i nostri vestiti e ci avrebbe preso a cuore. Chissà, magari ci avrebbero portato via da Nablus per una vita migliore o ci avrebbero mandato dei regali o della cancelleria per la nostra scuola. Niente. Sarà stato il nostro sorriso, un po’ triste un po’ arrabbiato, la prossima foto ci comporteremo da divi. Ne abbiamo visti di stranieri passare da Nablus. Da grandi non valeva più la foto, ma tante domande: “perché rischiate la vostra vita per noi poveri disgraziati?”. I ruoli si cambiano, loro ci sorridono e noi facciamo loro la foto, scambiamo opinioni e indirizzi. Chissà, magari un giorno saremo riusciti a scappare da questo inferno e a ritrovarci. “Come è il vostro mondo? Davvero non ci sono soldati per le strade e la gente può fare tardi senza problemi?”. E poi, come sempre, il discorso finiva con il parlare di cibo, politica e donne.
Un giorno si è sparsa la voce che di lì a pochi giorni sarebbe arrivata a Nablus una intera squadra di calcio austriaca che giocava in seconda categoria. Poco importava. Lo stadio era già pieno dalla sera prima, nessuno voleva perdere la partita della vita. Le gradinate, quelle che c’erano, erano gremite, gli altri, ritardatari, tutti stipati sugli spalti; le prime file facevano da cronisti a coloro che, dietro, non riuscivano a vedere bene le azioni. Qualcuno addirittura si era messo l’abito della festa per questa importante occasione, sperando così di spiccare in primo piano in qualche foto. Vedere quegli undici ragazzi biondi e sani giocare come degli angeli nel campo da calcio comunale fatto di terra senza erba, ci ha riempiti di gioia a prescindere dal risultato: cinque a zero per gli ospiti. C’era anche un rigore rubato, secondo alcuni; spesso nella mischia si vedeva solo polvere finché, ad un certo punto, il pallone schizzava via e qualcuno gli correva dietro come un bandito. Ma cosa importa del risultato finale, per un giorno ci siamo sentiti normali, come voi. Alla fine della partita tutti a fare festa e foto di gruppo in compagnia dei ragazzi biondi. Una parola tira un’altra e così Karim, un ragazzo del nostro quartiere di padre palestinese e di madre tedesca venuta come infermiera volontaria e, innamorata, rimasta per sempre, chiacchierando sciolto come un canarino con i nostri ospiti, scoprì che i ragazzi non facevano parte di una squadra di calcio di seconda categoria, non erano nemmeno giocatori professionisti, ma un gruppo di ragazzi universitari che avevano scelto la Palestina per passare l’estate come volontari: qualcuno studiava medicina, altri scienze politiche o altro ancora. Non abbiamo mai capito di chi fosse l’idea di trasformarli in giocatori, ma abbiamo deciso di non svelare il segreto a nessuno. Tanto, cosa volevamo di più? La gente, per un giorno, aveva vissuto felice e si era dimenticata dei soldati. Ma quel cinque a zero era davvero umiliante. Ci avevano promesso che sarebbero ritornati anche il prossimo anno.
A Nablus in qualche negozio sportivo ci sono ancora le foto scattate quel giorno con i nomi dei giocatori. Angeli biondi con il vizio del volontariato e del gol. E io non ho capito ancora oggi cosa spinge una persona normale, spesso brillante destinata ad una vita scorrevole e piena di comodità ad abbandonare la sua bella casa, i suoi cari, a rischiare la sua vita per una sporca partita.