Tra non molto gli anni vissuti da italiano supereranno quelli palestinesi. In questo momento sono in perfetto equilibrio e, come tutti i compleanni che meritano emozione, sento il bisogno di fare un bilancio su opinioni, famiglia, fede, vita sociale, lavoro e hobbies. Niente è più come prima a cominciare dall’aspetto: i lineamenti sono diventati leggermente più umani, il fisico sportivo e le mani morbide; spesso per un attimo mi guardo allo specchio prima di uscire di casa e questa sosta immobile si allunga se sono a cena fuori. Vado dal parrucchiere regolarmente una volta al mese. Inutile dire che da palestinese nessuno ha mai avuto il tempo di dirmi che sono bello e che i capelli è meglio rasarli in casa. Mi lavo tutti i giorni, una volta facevo il bagno solo il giovedì. Ascolto poco e parlo troppo, interrompere il mio interlocutore è diventato quasi normale, non me ne accorgo, quasi mi diverto. Sovente non apro la porta quando suona il campanello, nemmeno chiedo “Chi è?” al citofono, immagino sempre che siano i Testimoni di Geova. Quando ero palestinese la porta di casa era sempre aperta e lo straniero era il benvenuto. Prometto molto e poche volte riesco a mantenere l’impegno; bugiardi si chiamano da noi persone simili, qui invece li definiscono brillanti. In garage ho due automobili con il motore sempre pronto e siamo solo in due con la patente. In Palestina eravamo in nove e si andava a piedi ovunque, tranne nelle giornate di festa in cui salivamo su un unico taxi per non sporcare l’abito tirato fuori per l’occasione. Lo stop sotto casa mi è diventato famigliare così lo rispetto poco, vado a manetta in autostrada, avviso con gli abbaglianti gli altri autisti in senso contrario e butto la cicca dal finestrino, ma quando vedo un altro conducente più indisciplinato all’improvviso scatta in me il senso civico. Un giorno ho avuto da dire con le maestre dei bambini per la qualità della mensa scolastica, mi ero scordato l’attesa settimanale del furgoncino ONU per la micidiale dose di latte in polvere e olio di fegato di merluzzo. Non accetto che nessuno commenti i comportamenti liberi e allegri dei miei figli, nemmeno i loro insegnati; a Nablus qualche sgridata ai ragazzi, per non dire ceffoni, avrebbe risolto la questione con semplicità e senza ricorrere all’assistente sociale. Capita, ma non spesso, di trattare malamente le zingare ai semafori, di preferire stare comodo in treno e dire a tutti quelli con la pelle nera che il posto accanto al mio è occupato. A casa mia sicuramente mi sarei comportato in modo diverso ricordandomi di mia nonna. Seguo quasi incredulo i cosiddetti moderati arabi occidentalizzati, una volta li avrei chiamati “mercenari” che hanno trovato il modo più semplice per fare soldi e successo, ci vorrebbe la macchina delle verità per certi furbastri. Ho una famiglia meravigliosa, ma al passaggio di una bella femmina butto volentieri l’occhio e divento estremamente gentile con tutte le fanciulle anche sconosciute. Di là questo mio sprovveduto gesto mi sarebbe costato quattro mogli e tanti figli, forse l’avrei fatto volentieri anche qui, ma le donne italiane sono gelose e possessive e preferiscono tutto o niente, peccato. Qui sono tollerante e fuori casa lascio fare alle mie donne tutto ciò che vogliono, ma appena rincasano le faccio disperare fino a procurare loro un esaurimento nervoso. A Nablus le avrei fatte uscire impachettate e ben coperte mentre in casa sarebbero state libere in ogni senso. Non ho mai pensato di separare la mia fede dal mio credo politico di sinistra, mi sarei fatto crescere la barba e mi sarei inginocchiato a sud, qui mi trovo costretto a non svelare nemmeno per quale partito voto. Da palestinese avevo il vago sospetto che la legge si interpreta per gli amici e si applica per i nemici, qui invece ho la certezza che la legge non è uguale per tutti e ogni sconfitta, anche calcistica, è generata da un complotto. Al lavoro ho imparato a non dare ragione a nessun collega, invece a casa avrei pagato a peso d’oro un posto fisso. Sono alle prese con il mutuo, l’estratto conto, la busta paga, il tfr, il lavaggio settimanale dell’auto, l’aperitivo delle sei, il primo maggio e la Domenica Sportiva, a casa mia avrei trovato anche il tempo per pregare e ogni tanto il mio pensiero sarebbe volato ai dannati come me. Qui guardo di nascosto Sanremo e so tutto dei realty e spesso mi addormento davanti alla TV; da noi non c’è nemmeno l’elettricità. Gli amici sono fieri di me, contenti di avermi trasformato in uno di loro, cioè laico, invece gli scettici chiedono ad alta voce “ma perchè non ti togli dai piedi e torni da dove sei arrivato?”. Potrei anche farlo, ma prima vorrei chiedere il risarcimento per i danni biologici e morali di tutti questi anni italiani. Pensandoci bene, però, è meglio fare finta di niente, sono consapevole che qui ho più probabilità di arrivare sereno alla vecchiaia abbandonato in qualche economica casa di riposo. Beh, sempre meglio che a casa mia a Nablus, dove l’età media è rimasta ferma ai tempi di Gesù, 33… e poi, lasciatemelo dire: anche questa è casa mia e mi sento felicemente perduto.