Giangiusto Fiordoro era un uomo di gran cuore, amava senza distinzione la vita e la gente;
mai un dispetto, mai un torto, era ricco di spirito e di famiglia. Abitava in una bellissima casa immersa nella natura,
sembrava il paradiso in terra, con tanto di stalla per i suoi cavalli purosangue. Ne possedeva cinque: Ercole, Sisifo, Crono, Icaro e Orazio.
C’era inoltre una gabbia per gli uccelli, alcuni erano di rara bellezza. Più in là una serra con trecentosessantacinque qualità di fiori,
la maggiore parte esotici, ricordi dei suoi numerosi viaggi in giro per il mondo. Per la verità il numero di piante sarebbe stato molto maggiore,
ma alcune non sopravvissero alla distanza e al cambio di clima, nonostante l’attenzione e la cura di Giangiusto; si sa, a volte non basta l’amore
per fare crescere un fiore e Giangiusto ne era consapevole: lui era così colto e ricco che era quasi la personificazione della perfezione.
Già, quasi. Sì, perché Giangiusto, come tutti gli essere umani, aveva un piccolo difetto, se di difetto si può parlare: era un perenne indeciso,
l’indecisione era la sua filosofia di vita. Era incerto su tutto, basti pensare che da studente era sicuro che avrebbe fatto il medico,
ma non sapendo che specializzazione scegliere (gli piaceva curare il corpo umano, ma anche capire come riconoscere e medicare il male di vivere;
inoltre gli sarebbe piaciuto anche studiare più a fondo le donne), dopo la laurea in medicina Giangiusto si specializzò in Chirurgia,
Psichiatria e Ginecologia. Lui era fatto così anche in amore: non sapeva se amava di più sua moglie o la sua giovane amante e per questo decise di amare
entrambe allo stesso modo e con lo stesso rispetto, lo stesso tempo consumato assieme e gli stessi regali, o diversi, ma con lo stesso valore.
Giangiusto aveva un gran cuore e non faceva torto a nessuno, figli compresi. Non sapeva se voleva più bene al maschio, il suo primogenito,
o alla figlia e così decise di voler bene ad entrambi nella stessa misura. Lo stesso per la sua passione per il calcio: nella sua città c’erano due
squadre e per non offendere nessuno faceva il tifo per entrambe; il giorno del derby andava via in sella al cavallo Orazio portando con se gli altri
quattro, gli dispiaceva lasciare gli altri da soli nella stalla. Giangiusto non amava lasciare dubbi ai suoi dubbi e grazie alle sue indecisioni
era un uomo capace di abbracciare il mondo con lo sguardo: addirittura, non sapendo quale religione sarebbe stata la più giusta per
il bene dell’umanità e per non offendere nessun Dio, decise di praticarle tutte e con lo stesso impegno. Il venerdì partiva di buon’ora
per andare a pregare nella grande moschea della città. Il sabato era sempre in prima fila nella storica sinagoga.
La domenica non perdeva mai la messa delle nove nella chiesa del Don Arnaldo. Giangiusto Fiordoro era fatto così: amava le sue indecisioni sulle
cose e sulle visioni del mondo. Anche quando incontrava un mendicante per strada tirava fuori quei pochi spiccioli che teneva sempre con sé:
non sapendo quale moneta sarebbe stata la più giusta alla fine decideva di metterle tutte nel cappello posato per terra.
Nessuno era più felice e beato di lui. Si può affermare che questa sua indecisione fosse la sua forza per vivere la vita al meglio, appieno.