Non ha mai vissuto un giorno in modo reale, aveva sempre lo sguardo e i pensieri
altrove, era difficile, impossibile, capire dove cominciava la verità
e finiva la fantasia nei suoi discorsi, chiacchiere di ogni genere,
sacro o profano per lui non c’era un limite che non poteva essere
oltrepassato. Era un piacere immenso sentire i suoi racconti, le sue
avventure che non avevano nessun finale, lasciava agli altri la possibilità
di mettere la parola fine, oppure era un modo perché gli altri
gli chiedessero nuovamente di quel racconto o di quella avventura
con la speranza di sentire come andasse a finire, ma non c’era
niente da fare. Spesso, se richiesto, ci raccontava di quella volta
che trasportò a spalle il soldato-guerriero-combattente- martire
( ogni volta cambiava il soggetto) da una vallata all’altra
per due giorni senza sosta. La guerra dei sei giorni era finita da
poco, Madih aveva sentito dire, da qualcuno, di un attacco frontale,
fallito, di combattenti Palestinesi ad una colonna di carri armati,
con la stella di Davide, nei pressi di una montagna che circonda la
città di Nablus, senza pensare troppo decise di andare di persona
a vedere quello che restava di una battaglia. Non c’era assolutamente
nulla sul luogo a lui indicato, niente corpi trivellati, carri armati
abbandonati, polvero da sparo ancora nell’aria, niente. Sedette
su una roccia ad immaginare come potesse essere avvenuto l’assalto,
si era talmente abbandonato alla sua immaginazione che gli era sembrato
di sentire anche le voci dei combattenti che si incitavano l’un
l’altro a resistere, altre voci di soldati che ordinavano la
resa, i carri armati con i loro cigoli avanzare, ma la voce che lo
colpì di più fu quella di un ferito che gridava: “aiuto,
aiuto, aiu…”; Madih si alzò di scatto e cominciò
a correre a destra, sinistra, diritto alla ricerca della provenienza
di quella voce. Alla fine si fermò davanti ad una buca, o forse
si trattava di un vecchio pozzo asciutto, e nel buoio cercò
di individuare quel lamento. Abbracciandolo trascinò fuori
il ferito e lo appoggiò dolcemente sull’erba, era un
bellissimo ragazzo ventenne, pieno di sangue ovunque, muoveva lentamente
solo gli occhi e le labbra; Madih gli diede un bacio sulla fronte
e con delicatezza gli pulì la faccia e zitto lo guardò.
Il ragazzo gli chiese di portarlo al suo villaggio che stava dall’altra
parte della montagna. Dopo avere letto dei versetti del Corano Madih
si caricò a spalle il ragazzo e si avviò verso la montagna.
- “Allora!…e poi?” – Lo portò al suo
villagio… - Si, ma però! - Cosa volete sapere ancora?
- Morto, vivo, il villaggio com’era, e come sei riuscito ad
arrivare? - Seguivo un sentiero di fiori, fiori mai visti, non avevano
forma conosciuta nè colore nè profumo, erano semplicemente
dei bellissimi fiori. Il sentiero di fiori si interruppe all’improvviso,
Guardai attorno e vidi le rovine di un villaggio oramai disabitato,
l’unica forma di vita rimasta era un cane che correva a tre
zampe. Ecco, il suo racconto più o meno finisce sempre qui,
e nessuno aveva voglia, coraggio o forza di chiedergli di continuare,
cosa era poi successo del ragazzo, del sentiero fiorito o del cane.
Altre volte ci raccontava di una persona che viaggiava senza mezzi
nè tempo, un giorno lo lasciavi qui, qualche giorno dopo lo
trovavi in un altro paese seduto in un bar a gustare il suo caffè.
Insomma, Madih per noi non era una persona, ma semplicemente un racconta
storie, lo guardavi, con quel suo sorriso sulle labbra, ti sembrava
di vedere le pagine di un libro, lo toccavi e ti sembrava fatto d’aria,
gli parlavi e pareva di sentire la sua anima. Un giorno di primavera
mi chiese se volevo accompagnarlo, si, risposi di si, era la vigilia
della Festa di “Eid Al Akbar” ( una festa mussulmana per
festeggiare il sacrificio di Abraham, in questa festa si ricordano
tutti i morti), prima di mettersi in viaggio Madih comprò una
palma, piccola palma; un tratto del viaggi fu percorso in auto, e
un atro tratto a piedi finche giungemmo ad un villaggio abbandonato.
In mezzo al villaggio c’erano una decina di palme, piccole,
grandi, alcune verdi e altre secche; in mezzo c’era una lapide,
Madih, dopo avere letto dei versetti del Corano e piantato la sua
nuova palma, pulì con dolcezza la lapide sulla quale vi era
scritto: Silenzio Seduto con gli occhi rivolti al cielo, /La mia mente
si domanda, Perche`? /Un bambino muore... una guerra nasce, /Sento
il mio pensiero gridare, /Non lo so... non lo so, /Mi sento come un'ombra,
/Le mie domande si perdono nel silenzio, /Come il buio nella notte,
Sento solo freddo... freddo, /Freddo che fa sudare l'anima, /Il pensiero
che fa tremare l'anima, /Il silenzio che uccide l'anima, Povera anima,
/Inginocchiato con gli occhi rivolti a terra, /Vedo il corpo senza
vita, /Di un soldato abbracciato al suo fucile, /Generale con la sua
truppa, /Mappa a cerchi colorati, /Rosso, nero, verde, blu, /Muoio
davanti ad una bambina, Grida, /senza colpe nè voce, /Fame...fame,
/L’immagine senza colore, /Di un vecchio abbandonato, /L’eco
del pianto di una donna madre, /Lacrime...lacrime, /Sepolto nel mio
silenzio, /Gli occhi chiusi rivolti dentro, /penso senza anima nè
corpo, / “cosa sarà di noi?”