La stagione per eccellenza in cui mollare tutto e poi ritornare è l’estate. Qualcuno preferisce l’aereo, il treno o la nave, altri prendono la moto, il camper o la macchina; tutti partono di buon’ora carichi oltre ogni immaginazione. Maurizio, il mio vicino tarantino, è uno di questi. Comincia il suo rituale viaggio una settimana prima. Ogni sera parcheggia la macchina il più vicino possibile alla porta di casa e con pazienza tibetana e maestria riesce a riempire l’automobile lasciando lo spazio minimo necessario al resto del nucleo famigliare che negli anni è aumentano di due unità. Ma Maurizio è talmente bravo e tenace che è riuscito a non diminuire mai il carico, anzi. Il giorno prima della partenza viene sempre a salutarmi ed a lasciarmi le chiavi di casa per ogni evenienza; in quei cinque minuti, il tempo di prendere il caffè, lui mi spiega il come, il cosa e il quando della vacanza. Lo ascolto con piacere senza entrare troppo nel merito, faccio finta di essere il più discreto possibile, ma, in realtà, per tutta la settimana, ho osservato ogni sua mossa come una vecchia zitella. A volte sento anche l’auto partire alle cinque del mattino e provo un po’ di invidia e di dispiacere. Invidia perché sta ritornando a casa da sua madre e dispiacere perché ho paura di portargli sfortuna e sentirmi in colpa per il resto dei miei giorni. Quest’anno un altro caro amico, Claudio Sabelli Fioretti, maestro di giornalismo, si è preso un anno sabbatico e, non sapendo bene come organizzarlo, ha deciso di compiere un viaggio dal sapore antico, ritornare a casa. A differenza di molti ha scelto di non usare i tradizionali mezzi di trasporto e di fare il tratto Lavarone (TN) - Cura di Vetralla (VT) a piedi. La partenza è stata il 7 giugno e l’arrivo è un indefinito “prima o poi” come ha scritto nel blog aperto per l’occasione. Nel viaggio è accompagnato da Giorgio Lauro, un suo amico. La marcetta, come l’ha battezzata, è aperta a tutti coloro che li vogliono accompagnare anche per un breve tratto. La tentazione di camminare con loro, anche solo per poco, è stata sempre forte. “Ti aspettiamo per le montagne, vieni!” mi ha detto al telefono. Mi sarebbe davvero piaciuto mollare tutto e raggiungerli, ma qualcosa mi teneva i piedi fermi. Questa volta l’invidia non c’entra niente, davvero, ma si tratta di una sensazione più famigliare e profonda, qualcosa che assomiglia all’emozione dell’abbraccio tra una madre ed un figlio che ritorna dopo parecchi anni stanco e affamato. Io non so se avrei retto il loro incontro anche perché lo sogno da più di vent’anni un ritorno così lontano e intenso, ma troppe frontiere e soldati minacciosi me l’hanno per ora impedito. Sabelli Fioretti, per tenere separato il sacro dal profano e per tranquillizzare amici e nemici, risponde cinico a tutti coloro che gli chiedono il perché di questa decisone per certi aspetti folle vista la sua età non tanto giovane: “Questo non è un viaggio religioso, ma un ritorno ai luoghi della mia infanzia”. Non amo mai contraddire un amico, ma un ritorno così intimo se non è divino, cosa è?