Qui da noi, ad Ivrea, le alluvioni sono diventate cicliche come le stagioni, una ogni quattro-cinque anni. Se non fosse per i danni micidiali e per il fango che lasciano dietro di sè, si potrebbe dire che oramai gli eporediesi sono più che abituati alla Dora e alle sue spettacolari gravidanze. Ma ci si può abituare alla distruzione? Quando la città ritorna splendente, la gente già si è scordata del disastro tanto annunciato e tanto temuto, rimangono solo i racconti e i servizi fotografici. In quei giorni di acqua alta e di umidità, la città è isolata, i principali ponti di accesso e le uscite, normalmente, vengono quasi tutti chiusi per precauzione. Ivrea ha tre di ponti, costruiti in tempi e modi diversi. Il più bello e il più romantico è quello romano, detto Ponte Vecchio, una meta privilegiata per i servizi matrimoniali, gli sposi locali e non, vanno matti. I turchini, la squadra di aranceri del Carnevale d’Ivrea, sono convinti di essere i più allegri e simpatici solo per il fatto di avere la piazza del tiro proprio alla sua estremità. E non hanno tutti i torti, quel ponte ha un suo fascino misterioso. E tutta la città lo adora. In tempi di pioggia e di Dora piena, il Ponte Vecchio è l’unico che non è mai stato chiuso nonostante i suoi anni. “Per fortuna c’è il Ponte Vecchio, è costruito con amore!”, mi sembra di sentire la gente mormorare in quei giorni di pioggia senza fine.